Solo in Italia lo scorso anno i casi di femmicidio sono stati 91; quest’anno, appena agli inizi di maggio siamo già a 20 vittime. Lo scorso anno, a gennaio, in una sola settimana sono stati registrati 6 casi di femminicidio, quasi uno al giorno; nel novembre cinque in una settimana.
Persino Papa Francesco, nei giorni scorsi, si è pronunciato sulla violenza sulle donne, un amore malato non può definirsi tale. L’affetto che sfocia in una violenza inaudita non può essere perdonato con estrema facilità. Queste sono state le parole del pontefice: “Penso all’amore malato che si trasforma in violenza – e quante donne ne sono vittime oggigiorno. Questo non è amore”.
La necessità ormai è evidente di rendere il femminicidio un problema reale di cui occuparsi, non ci si può nascondere più dietro a un dito dicendo che è una creazione femminista e che non necessita distinzione, l’omicidio in sé racchiude anche questo significato.
Pensiamo al fatto che solo dal 2001, si è sentita la necessità di distinguere gli omicidi e i femminicidi, sono state necessarie milioni di donne uccise dai mariti o da ex mariti a far aprire gli occhi al nostro Paese.
Parlare di femminicidio comportava la creazione di leggi e atti specifici per queste situazioni. Fino ad allora l’unica parola esistente con un significato analogo era “uxoricidio”. Letteralmente, l’omicidio della moglie o in via più generale di un coniuge, termine usato anche per gli uomini.
Il termine “femminicidio” invece, ha fatto sì di identificare l’uccisione di una donna proprio per il suo genere. I femminicidi sarebbero dunque tutti i casi di omicidi dolosi o preterintenzionali a sfondo discriminatorio o con matrice patriarcale. Non parliamo solo della morte in sé della donna ma la mortificazione della stessa.
Non è un significato unico quello che assume la parola, identifica un ampio spettro di condotte come: maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa o economica, perpetrate da uomini in diversi ambiti: sociali, familiari e lavorativi.
Se non esistesse, se potessimo classificare queste morti nell’ennesimo omicidio privo di identità di genere sarebbero tutti più felici, meno problemi, ma no! Non è così.
Uccise in casa, fatte a pezzi, strangolate, violentate, pugnalate e massacrate di botte fino alla morte, è questo quello che è accaduto a diverse donne.
Uccise da chi ritenevano amici, da chi amavano, da chi reputavano di famiglia o da uno sconosciuto, non fa differenza ora. Ora che non possono più opporsi e prendere una strada diversa per tornare a vivere e non sopravvivere. La morte fisica non è l’apice del dolore inflitto, prima di essa c’è la mortificazione civile, negazioni di dignità, fisica, psichica, morale, rivolte alle donne solo per appartenenza a un genere considerato inferiore e debole.
Non siamo ancora in grado di educare questo Paese all’amore, senza restrizioni, oppressioni e dolori. Basterebbe un passo in avanti, giorno dopo giorno, partendo dai più piccoli fino alle vecchie generazioni. I ragazzi di oggi sono il nostro futuro, facciamo in modo che il biglietto da visita lasciato da alcuni uomini non faccia più parte del progresso.
Quest’anno smettiamola di dire che “se l’è cercata” a Emma Pezemo, uccisa per questioni economiche dal suo ragazzo che si è tolto la vita dopo averla uccisa e fatta a pezzi. Che “il femminicidio non è una piaga sociale”, non diciamolo a Ylenia Lombardo, trovata semi carbonizzata in casa, o a Angela Dargenio, uccisa da cinque colpi di pistola. Storie, ovviamente, di cui si aspetta la verità giudiziaria, ma questo è un altro discorso che non cambierà il corso di queste vite spezzate.
Chiediamo cosa hanno fatto di sbagliato quelle donne uccise fino a oggi. Rispondiamo in coro che non hanno fatto nulla di male oltre amare la persona sbagliata, facciamo in modo che con le nostre azioni non si verifichino più questi casi. Facciamo in modo che le mani si usino solo per dare carezze e che un coltello lo si utilizzi per cucinare una cena per un avvenimento speciale.
Questi eventi vengono narrati come “delitti passionali”, dei gesti folli dovuti al troppo amore o giustificati dalla gelosia come qualcosa che non rende lucidi. L’aggressore, spesso, viene dipinto con caratteristiche positive della sua persona, per suscitare empatia nei confronti dell’uomo che ha strappato una vita.
Non parliamo più di gesti impulsivi c’è differenza tra atti di impeto e atti di premeditazione. Non parliamo più per empatizzare con il carnefice.
Non parliamo più di vittime, parliamo di donne.
“Sono morta.
Sono morta ma il mondo continua a girare.
Sono morta e giuro che ci ho sperato fino all’ultimo respiro in quell’affetto.
Ora non è così brutto, posso prendere quella carezza che per anni è stato uno schiaffo. Ora non avrò più paura: di esprimere il mio pensiero, di indossare quel vestito che mi piace tanto, di uscire, di ridere, di scegliere un amore che mi possa uccidere.
Da piccole ci hanno abituato male al concetto dell’amore, nella realtà non arrivano principi azzurri su cavalli bianchi ma lupi cattivi.
Noi non abbiamo bisogno di essere salvate da un uomo, perché ce la sappiamo cavare da sole. Ci completiamo da noi. Un uomo al nostro fianco è un di più, è raggiungere quella felicità che da soli non si ottiene, è donare tutto quell’amore che abbiamo nel petto e riceverne altrettanto così da essere sempre pieni. Ma a volte quegli insegnamenti entrano nell’orecchio come una pulce e ti fanno desiderare di scendere a ballare con un abito meraviglioso a un ballo reale, alla ricerca del vero amore.
Ora, non sono certa che esista; prima sì, ma, mi sbagliavo.
Ero così alla ricerca di quell’amore incondizionato da far sì che i miei occhi si offuscassero trovando l’uomo che mi ha uccisa”.